Arriva lo Smart Food d’Autore #maremecissechef Ecco la nuova linea esclusiva per le consegne a domicilio

Nei prossimi giorni arriviamo a casa vostra anche con Socialfood.

Solo per le consegne a domicilio sarà possibile ordinare due menù appositamente pensati dalla nostra chef Mareme Cisse. In particolare sarà possibile gustare lo Chawarma menù e il Sama Yaye menù, in esclusiva per Socialfood. https://www.socialfood.it/agrigento/ginger-people-food

Fase 2 Per la ripartenza avviata una raccolta fondi su Facebook in favore della cooperativa sociale Al Kharub

Al Kharub è una cooperativa sociale che si occupa di inserimento lavorativo di persone con svantaggio. Portiamo avanti un progetto di apicoltura, contribuendo a tutelare l’Ape nera sicula dall’estinzione, nella Valle dei Templi, e uno di Ristorazione,Ginger-people&food, con una cucina afro-siciliana, ad Agrigento. Il lockdown ci ha costretto a chiudere il ristorante e mettere i dipendenti in cassa integrazione, non abbiamo più avuto mercato per la vendita del miele. Adesso, dopo questi mesi di chiusura, stiamo provando a ripartire ma abbiamo bisogno del vostro sostegno, del vostro aiuto concreto. Il ricavato delle donazioni verrà usato per rilanciare le attività, fare le manutenzioni dei terreni in concessione, avere cura delle nostre api, riavviare la somministrazione nel ristorante e riattivare tutti i lavoratori in attesa.

Per questo motivo abbiamo avviato una raccolta fondi su Facebook cui potete partecipare a questo link

https://www.facebook.com/donate/782559052275676/?fundraiser_source=external_url

Per chi volesse accreditare la donazione direttamente su C/C

IT28Q0200816600000104751536
Bic/swift: UNCRITM1K63

Presentata la Campagna social di Ginger-people&food #vieniaprenderci. Si riparte con l’asporto

Miriam Salerno ph

Ci prepariamo a ripartire con coraggio e determinazione, sperando che questi momenti difficili possano passare presto.

E’ il senso di responsabilità, il prendersi cura l’uno dell’altro, che dovrà caratterizzare il tempo che verrà, nel garantire sicurezza e serenità per la clientela e per tutto lo staff. Siamo consapevoli che ce la faremo solo se sapremo volerci bene.

Ecco il pre spot ” Stiamo tornando…#vieniaprenderci”, primo step di questa campagna social sulla ripartenza, presentato su Facebook, Instagram e YouTube. Iniziamo il 12 maggio con il servizio da asporto

Le riprese sono di Miriam Salerno; le musiche di Abramo Laye Senè; la regia e il montaggio di Carmelo Roccaro

Che sapore ha quel frutto raccolto dagli schiavi? Una #dietacaporalatofree, la campagna di Slow Food Youth Network

Il cibo che consumiamo ogni giorno arriva nel nostro piatto attraverso filiere di cui, troppo spesso, non conosciamo la natura. Siamo in grado di riconoscere quando, dietro quello che mangiamo, si nasconde lo sfruttamento di migliaia di braccianti?

Slow Food Youth Network Italia

Quello che sta accadendo in questo periodo coinvolge ogni ambito dei sistemi alimentari. Lo stiamo vivendo come consumatori: cambiamo i nostri acquisti, forse perché abbiamo più tempo per informarci o siamo costretti a maggiori ristrettezze, compriamo più conserve, più farina e dedichiamo più attenzione alla cucina casalinga.

Lo vedono i venditori nei mercati rionali, spesso costretti a chiudere per l’impossibilità di garantire la corretta distanza tra i clienti, e i ristoratori, ormai fermi da tempo.

Sanno che tutto sta cambiando anche i dipendenti della Grande Distribuzione Organizzata (supermercati, discount, ipermercati, ecc.), costretti a fronteggiare una mole di clienti sempre maggiore. Lo sa, ancora meglio, chi guida queste catene di distribuzione che ha colto l’aumento delle vendite come un’occasione per chiedere ancora di più al mondo della produzione (risale a pochi giorni fa l’articolo su «Internazionale», a cura di Fabio Ciconte e Stefano Liberti, sulle aste al ribasso praticate da Eurospin per l’insalata in busta), sfruttando anche la conoscenza approfondita che la Gdo ha dei suoi clienti.


L’industria alimentare comincia a dare segni di cedimento (secondo l’ultimo rapporto Ismea, numerose imprese hanno dovuto interrompere momentaneamente l’attività, per mancanza di servizi logistici, per carenza di personale o per l’impossibilità di rispettare le prescrizioni in materia di sicurezza e tutela della salute dei dipendenti) sapendo che, però, deve rendere conto a quanto richiesto dalle insegne della Gdo per non rimanere fuori da un mercato che appare totalmente controllato dai grandi gruppi della distribuzione.

Poi ci sono i produttori, gli agricoltori, gli allevatori che, nonostante tutto (mercato del turismo chiuso, mercati rionali chiusi, industria in affanno), devono continuare a raccogliere il frutto del loro lavoro. Ma come?

In effetti, ai problemi che da sempre riguardano la produzione agricola – schiacciata da un sistema alimentare che non tiene in considerazione le necessità e i diritti di imprenditori e braccianti – quest’anno si sommano le gravi ripercussioni della crisi sanitaria sulla manodopera.

Da un lato, la chiusura delle frontiere con l’Europa dell’Est ha determinato una carenza di braccianti stagionali che, in questo periodo, vengono in Italia. Dall’altro, migliaia di stranieri irregolari che, oggi, vivono negli insediamenti informali (diciamo veri e propri accampamenti dove vengono negati i diritti e dignità) nelle campagne italiane, necessitano di una regolarizzazione che li tuteli dal virus.

Sono i lavoratori che, come ogni anno, raccoglieranno il nostro cibo.

Ma come lo raccoglieranno, con quali tutele, ancora non è chiaro. Perché, oltre all’emergenza sanitaria, anche in questa stagione di raccolta gravi minacce incombono sui braccianti: lo sfruttamento e il caporalato.

Secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto, infatti, sono più di 400.000 i lavoratori agricoli esposti al rischio di un ingaggio irregolare e sotto caporale; di questi più di 132.000 sono in condizione di grave vulnerabilità sociale e forte sofferenza occupazionale.

Come se non bastasse, questi lavoratori, schiacciati da sistemi finalizzati a minimizzare i costi di produzione del nostro cibo, sono le potenziali vittime invisibili di questa crisi sanitaria. Le loro condizioni di vita e di lavoro, troppo spesso senza alcun diritto, sono determinate da un sistema che toglie valore al cibo che consumiamo o che desideriamo trovare pronto sugli scaffali dei supermercati.

Le ragazze e i ragazzi della rete giovane di Slow Food (Sfyn Italia) hanno deciso di approfondire il fenomeno raccontando le infiltrazioni delle mafie nell’agricoltura italiana, del fenomeno del caporalato e del suo impatto nelle zone  coinvolte.

E in questo momento, in cui il freefrom guida le nostre scelte d’acquisto, possiamo affidarci a filiere virtuose che tutelino i diritti dei lavoratori agricoli. Abbiamo imparato a consumare cibi puliti e buoni con la nostra dieta targata Slow Food, ora dobbiamo scegliere il cibo giusto che sia Caporalato free.

Questi sono i temi della campagna #dietacaporalatofree, che nasce con l’obiettivo di far luce su questa situazione e sulla responsabilità degli attori delle filiere. Perché, in questo periodo, abbiamo più tempo per informarci, per approfondire e riflettere su quali economie sostenere con i nostri acquisti.

Vogliamo comprendere qual è il ruolo dei decisori politici, quali iniziative sono state messe in campo dalla società civile. Capiremo, con questa campagna, il valore politico delle nostre scelte quotidiane. Perché la nostra forchetta vale tantissimo e può liberare migliaia di persone dalla vergogna dello sfruttamento. Vogliamo soprattutto, unirci virtualmente (e speriamo presto fisicamente) a tutte e tutti i consumatori. Perché siamo noi, con le nostre scelte che possiamo davvero garantire un’Italia di diritti. Per tutte e tutti.

https://www.slowfood.it/che-sapore-ha-quel-frutto-raccolto-dagli-schiavi-una-dietacaporalatofree-la-campagna-di-slow-food-youth-network/?fbclid=IwAR21IFHA2CSFXPAEiC_Qw6POEKUAXnfOtLBF4reqgqyel9ouksb655toBrQ Del 20 aprile 2020

www.aljazeera.com

ari-associazione-rurale-italiana/emergenza-covid19-i-produttori-locali-garantiscono-laccesso-al-cibo

www.terraonlus.it

www.internazionale.it/notizie/stefano-liberti/2020/03/20/coronavirus-agricoltura-lavoratori

twitter.com/flaicgil

www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/03/18/coronavirus-oss.rizzotto-migliaia-di-migranti-abbandonatl

https://www.internazionale.it/notizie/fabio-ciconte/2020/03/30/coronavirus-discount-cibo-ribasso

ilmanifesto.it/per-noi-sikh-nei-campi-lemergenza-non-vale/

www.internazionale.it/reportage/stefano-liberti/2018/07/25/passata-pomodoro-eurospin

www.ismea.it

www.internazionale.it/opinione/stefano-liberti/2019/02/15/pastori-sardi-supermercati

www.internazionale.it/notizie/stefano-liberti/2017/11/02/nardo-caporalato-princes


Dal Senegal ad Agrigento, la chef Mareme vince anche in tv

Mareme Cisse, che ha trovato il suo futuro nella città dei templi, ha vinto l’edizione “Campionato del mondo” che ha visto partecipare ristoratori stranieri

di ALAN DAVID SCIFO

Dal Senegal ad Agrigento per una nuova vita. Mareme Cisse, che ha trovato il suo futuro nella città dei templi, ha vinto l’edizione di “Cuochi d’Italia: campionato del mondo” su tv8 che ha visto partecipare ristoratori stranieri ma ormai “adottati” dall’Italia. Tra questi anche Mareme, già vincitrice dell’ultima edizione del Cous Cous fest di San Vito Lo Capo, il campionato del mondo della specialità che vede sfidarsi chef provenienti da ogni parte del mondo.

Nel programma condotto da Bruno Barbieri su Tv8, in poche puntate ha prima battuto uno chef spagnolo, vincendo anche in semifinale contro un concorrente francese, trionfando, proprio con la sua specialità, il cous cous, contro una concorrente cinese, il cui distacco finale è stato di un punto. Così la concorrente senegalese, ormai da tempo stabilitasi ad Agrigento dove ha avviato un rinomato ristorante (Ginger People e food), ha vinto il premio finale: 10 mila euro in gettoni d’oro. I suoi sorrisi, che la contraddistinguono, nascondono una storia travagliata, ormai alle spalle: da sola con 4 figli quando si era trasferita da poco ad Agrigento, la giovane senegalese non si è data per vinta e ha con la forza di una cooperativa ha avviato il suo ristorante, diventato uno dei più rinomati in Sicilia, facendo quello che più la faceva felice: cucinare.

Prima la vittoria al Cous cous fest, poi la vittoria al noto programma di Tv8, hanno fatto conoscere a livello nazionale e internazionale la cucina di Mareme, che mescola tradizione africana con le specialità siciliane (nell’ultimo piatto ha utilizzato il Nero d’Avola). La “sicilianità” è arrivata sullo schermo anche per quel che riguarda le divise indossate durante le tre puntate del programma dalla cuoca, cucite da una Anna Capodicasa, sarta di Joppolo Giancaxio.

Da la Repubblica Palermo del 1 febbraio 2020

“Cuochi d’Italia”, con Bruno Barbieri, Cristiano Tomei e Gennaro Esposito

La nuova versione del programma diventa un autentico “Campionato del mondo”. L’appuntamento con la sfida a colpi di fornelli e di ricette è a partire da lunedì 6 gennaio alle ore 19,30 su Tv8V

Da cooking show nostrano, “Cuochi d’Italia” cambia veste e diventa una gara tra prodotti e sapori etnici. Ma non è l’unica importante novità. Nella nuova versione del programma che diventa così un autentico “Campionato del mondo”, il padrone di casa è Bruno Barbieri affiancato dai confermatissimi giudici, gli chef Cristiano Tomei e Gennaro Esposito. L’appuntamento con la sfida a colpi di fornelli e di ricette è a partire da lunedì 6 gennaio alle ore 19,30 su Tv8.

Se fino ad oggi abbiamo visto i “Cuochi D’Italia” affrontarsi a suon di ricette tipiche delle regioni italiane, con il nuovo anno, il talent show varca i confini nazionali per farci assaporare i migliori piatti e sapori di tutto il mondo. La nuova edizione di “Cuochi d’Italia” – una produzione originale Banijay Italia – vedrà 20 cuochi professionisti internazionali (che hanno trovato in Italia la loro nuova patria e lavorano in ristoranti che propongono ricette originarie della loro cultura gastronomica) sfidarsi con la preparazione dei piatti tipici delle loro terre raccontando i segreti della loro cucina, storia e cultura di provenienza.

Si tratta di un viaggio alla scoperta dei piatti che ormai sono entrati nella nostra cultura gastronomica, dalla paella al sushi, dall’hamburger al pollo al curry fino alle ricette più esotiche come il bibimbap coreano, il koshari egiziano e il pasticcio di aringa russo. In ciascuna puntata due cuochi che rappresentano altrettanti Paesi, si sfideranno in una doppia manche.

Le prime dieci puntate sono gare “dirette” di andata e ritorno tra due cuochi, che si confrontano prima su un piatto tipico di un Paese e poi su quello dell’altro. Al termine della sfida viene incoronato il vincitore di puntata.

Nelle successive cinque puntate, ritroviamo i vincitori del primo turno, che si affronteranno in due manche. Nella prima, il concorrente che “gioca in casa” porta un ingrediente tipico del proprio Paese, al quale i due giudici Gennaro Esposito e Cristiano Tomei aggiungono ulteriori ingredienti a sorpresa. Nella seconda, invece, sarà l’avversario a proporre, con le stesse modalità, un ingrediente simbolo della propria terra di appartenenza. Soltanto in cinque accedono al terzo turno, il sesto sfidante sarà invece ripescato.

Le semifinali, invece, prevedono due sfide dirette: i concorrenti ancora in gara cucinano un piatto del proprio Paese, scelto dai giudici. Gli chef Tomei e Esposito dovranno mettersi d’accordo e decretare la cucina straniera, protagonista assoluta, quella che saprà valorizzare al meglio la tradizione del proprio territorio.

da Sorrisi e Canzoni TV

02 Gennaio 2020 | 9:00 di Antonella Silvestri https://www.sorrisi.com/tv/programmi/cuochi-ditalia-con-bruno-barbieri-cristiano-tomei-e-gennaro-esposito/

Africana, indiana, filippina le cucine che salveranno il pianeta

«Un’anima che non mangia pepe è un’anima morta», recita un antico detto nigeriano.

«Teniamolo a mente — suggerisce dalle pagine del New York Times la cuoca e stylist di Lagos Yewande Komolafe entry della sezione food del giornale americano — perché di ricette dell’Africa occidentale si sentirà parlare parecchio». Vero: in tutto il mondo c’è grande fermento. Chef emergenti, nuovi ristoranti di fine dining, qualche piatto pronto d’ispirazione «afro» nei supermercati (catene come Waitrose e Whole foods sono in prima linea). Le prove che questa è una cucina in ascesa, insomma, sono già tantissime. Oltre al riso jollof, rosso e invitante, al platano fritto e alle foglie di amaranto stufate — da qualcuno già definite il nuovo kale — che Komolafe ha raccontato ai lettori del Times, per esempio, sempre a New York lo chef Pierre Thiam ha da poco aperto un locale senegalese, «Teranga». E sta per pubblicare un libro sul fonio, il cereale senza glutine coltivato in quell’area che va dal Senegal al Ciad — l’Africa occidentale, appunto — altamente sostenibile (necessita di pochissima acqua) e nutriente (è ricco di proteine e fibre). Per di più ora acquistabile anche da noi, visto che l’Ue lo ha inserito tra i novel food, i nuovi alimenti per i quali è consentita l’importazione.

Poi: tra i finalisti del Basque Culinary World Prize 2019, il «Nobel del cibo» per i progetti a cavallo tra gastronomia e inclusione sociale, c’era la chef Selassie Atadika: dopo una carriera nella cooperazione internazionale all’Onu è tornata nel suo Ghana e ha aperto, ad Accra, «Midunu», un ristorante tutto al femminile che dimostra la raffinatezza della cucina africana e supporta le dipendenti nella ricerca di autonomia. Nel Regno Unito la giovane creativa Zoe Adjonyoh ha fondato «Ghana Kitchen», un supper club/ catering/ricettario di successo. Londra ospita anche il primo ristorante stellato nigeriano, «Ikoyi»: ai fornelli c’è lo chef sino-canadese Jeremy Chan affiancato dall’amico e socio di Lagos Iré Hassan- Odukale. A Parigi si contano «Ohinéné», ristorante ivoriano di Edith Gnapié, e il senegalese «Villa Masaai» di John Houssou.

In Italia? Notizia recentissima: a vincere il «Cous cous fest», storica competizione culinaria che si tiene a San Vito Lo Capo (Trapani), quest’anno è stata Mareme Cisse, chef senegalese del ristorante afro-siciliano «Ginger people&food» (Agrigento). Gli ingredienti decisivi: tartare dell’orto, mango, iohos (polpo) marinato e lessato secondo tradizione servito su crema di carote e zenzero con erbette e spezie di Salamba, «un particolare mix di coriandolo, chiodi di garofano, cannella e aglio che faccio io e che porta il nome di mia mamma, una pescatrice», racconta chef Mareme. Dunque, sì. La cucina dell’Africa occidentale è decisamente entrata nella mappa food (e gourmet) globale. «Ma non si tratta di una semplice tendenza — spiega lo chef Pierre Thiam, tra i più instancabili ambasciatori culinari della zona, da anni impegnato con la startup Yolélé Foods per aiutare i produttori africani a vendere il fonio all’estero —. Questa cucina esiste da secoli e ci sarà a lungo. Però finalmente l’Occidente ha capito che può avere un posto interessante nella “tavola del mondo”. E che può servire per diversificare la dieta di tutti».

Ecco il punto: accanto alla ragione modaiola («I foodies sono sempre in cerca di nuovi sapori e di nuove destinazioni», riassume bene Thiam) e alle opportunità di business (per le aziende, spesso occidentali), l’attenzione per le cucine «del Sud del mondo» è anche legata alla salute, all’ambiente e alla biodiversità. E il ragionamento si può senza dubbio estendere a quella indiana, vietnamita, filippina, indonesiana… Gli ingredienti base di molti dei loro piatti, infatti, sono vegetali, proteici e senza glutine, adatti quindi a una dieta meno ricca di carne e a chi soffre di intolleranze. E aprono nuovi scenari in termini di sostenibilità. «La maggior parte dei nostri raccolti — spiega Thiam, tornando all’Africa occidentale — resiste alla siccità. Cereali come il fonio e piante come la moringa, per esempio, hanno radici lunghe e profonde che cercano da sole l’acqua sottoterra, crescendo anche in zone desertiche. E poi fissano l’azoto nel suolo, creando migliori condizioni di sviluppo per sé e per le altre piante, mitigando di conseguenza gli effetti del cambiamento climatico». È quello che gli esperti chiamano circolo (virtuoso) dell’azoto, un fertilizzante naturale: più ce n’è nel terreno, più la vegetazione cresce e dunque più anidride carbonica verrà assorbita, facendo calare l’effetto serra.

Non è un caso che il Wwf abbia inserito fonio e moringa nella lista dei «50 alimenti del futuro salutari per le persone e per il pianeta» insieme a molti altri cibi provenienti dai Paesi in via di sviluppo: il teff (cereale diffuso tra Etiopia ed Eritrea), l’amaranto (coltivato in America centrale, ma anche in Nigeria), l’okra (verdura simile all’asparago, ma tipica dei Caraibi e dell’Africa, la più resistente al calore che esista al mondo), i fagioli di Bambara (legumi tipici del Togo), il miglio indiano e via dicendo.

Prendiamo proprio l’India. Altro Paese che, come l’Africa, in Occidente è — erroneamente — associato a una dieta poco varia, «buona ma povera». La cucina indiana in realtà è una miniera di gusti e di ingredienti, e ce ne stiamo facendo un’idea anche noi grazie a libri che ne raccontano le sfumature regionali (Coconut Lagoon, per esempio, si concentra sull’area meridionale del Kerala) e a chef che stanno raggiungendo traguardi altissimi. Per esempio Garima Arora, Asia Best Female Chef 2019 per i 50 Best Restaurants e prima cuoca indiana donna ad aver ottenuto una stella Michelin: 33 anni, di Mumbai, ex giornalista, ha lavorato con Gordon Ramsay, con René Redzepi, con Gaggan Anand. Nel 2017 ha aperto a Bangkok «Gaa», ristorante «indiano moderno», e il suo obiettivo è dimostrare che con quel patrimonio millenario di tecniche e ingredienti la cucina del suo Paese può trainare le altre dell’Asia, esattamente come l’italiana e la francese hanno fatto in Europa. «Invece di pensare ai nostri piatti come a semplice comfort food, noi chef indiani dobbiamo sforzarci di creare cose raffinatissime, cerebrali, a partire da prodotti umili. E la verità è che possiamo anche insegnare qualcosa al mondo: come cucinare le verdure per esempio. Solo noi, con la cottura lenta sul fuoco, sappiamo caramellarle e renderle così deliziose». Non è poco in un pianeta che cerca di aumentare il consumo di vegetali per ridurre quello di carne.

Ecco perché potrebbe essere utile ispirarsi, anche nella cucina di casa, alle ricette planet friendly di altre culture: quella vietnamita per esempio, il cui piatto forte, il pho, usa le parti meno nobili del manzo (ossa, tendini, petto) per insaporire e rendere proteico il brodo senza sprecare nulla. O il dal indiano a base di lenticchie, o il monggo filippino, verdissima zuppa di fagioli munghi — un altro dei 50 cibi del futuro — ricca di vitamine e molto gustosa. La ricetta arriva direttamente dal New York Times, che ha appena assoldato una food writer filippina, la chef Angela Dimayuga. Che stia per nascere una nuova tendenza?


di Alessandra Dal Monte

https://cucina.corriere.it/notizie/19_ottobre_15/africana-indiana-filippina-cucine-che-salveranno-pianeta-790d88e2-ef5b-11e9-9951-ede310167127.shtml?refresh_ce-cpAFRICANA&fbclid=IwAR28ND1GCCw1_SNK3h1Lkwg1hte7r3qkRb-J-fmTSR8OSJg_ORa9j8Pz4I0


Cous Cous Fest 2019. Vince la chef Mareme Cisse di Ginger-people&food di Agrigento

SONO 22 ANNI CHE SAN VITO LO CAPO SI TRASFORMA NELLA CAPITALE DEL COUS COUS. OSPITANDO UNA COMPETIZIONE TRA CHEF CHE INTERPRETANO IN MODO ORIGINALE QUESTO PIATTO, SIMBOLO DI FRATELLANZA E INTEGRAZIONE TRA I POPOLI.

Dal 20 al 29 settembre, San Vito Lo Capo ha ospitato la XXII edizione del Cous Cous Fest. Il tradizionale appuntamento di fine estate è ormai diventato un importante evento gastronomico dal respiro internazionale e quest’anno ha visto la partecipazione di otto chef provenienti da quattro continenti richiamando nella cittadina siciliana turisti e appassionati di cucina da tutta Italia. Il Festival è infatti molto più di una semplice manifestazione dedicata al cous cous, è anche l’occasione per elevare quest’antico alimento a simbolo di fratellanza e integrazione tra i popoli. Ogni anno a San Vito Lo Capo si materializza lo spirito di condivisione di un antico rito conviviale, capace di unire le due sponde del Mare Nostrum e non solo.

Il cous cous

Il cous cous è un alimento della cultura dell’area nordafricana. Le sue origini vanno probabilmente ricercate nelle più antiche tradizioni dei Berberi, che avevano la necessità di contare su alimenti di lunga conservazione, facili da trasportare e semplici da cucinare. Il cous cous è un cibo duttile, che si può abbinare a verdure, legumi, carni, pesce, creando piatti dai sapori diversi, partendo da una base di piccoli grani di semola. Un alimento umile, che diventa un piatto unico completandosi con ciò che la natura mette a disposizione. È un piatto figlio della cultura dei cereali, che insieme alla vite e all’olivo contribuiscono a fondare l’identità del paesaggio e dei popoli del bacino del Mediterraneo.

La produzione casalinga del cous cous

L’antica produzione casalinga del cous cous avveniva durante i mesi estivi, quando il clima caldo e secco favoriva un veloce processo d’asciugatura. I chicchi di grano erano pestati fino a creare una semola omogenea, la farina di grano duro veniva messa nella mafaradda, un grande piatto di ceramica, leggermente bagnata e lavorata con le mani in modo da ottenere minuscole sfere, poi passate in semola asciutta per evitare che si appiccicassero tra di loro. I piccoli granelli così creati venivano setacciati a mano e stesi al sole ad asciugare.

Il cous cous si cuoce a vapore nella cussussiera, un’alta pentola di metallo sulla cui sommità viene appoggiato un recipiente con il fondo forato, chiuso da un coperchio, simile a una vaporiera.

Cous Cous Fest Piatto del Senegal
Il piatto del Senegal. Vincitore del Cous Cous Fest

La diffusione del cous cous

Ancora oggi il cous cous è il piatto tradizionale dei popoli del Maghreb. È diffuso lungo tutta la sponda sud del Mediterraneo e anche nella zona subsahariana. In Italia, la preparazione del cous cous è soprattutto presente nell’area del trapanese, da sempre legata da scambi e commerci con le terre del Nord Africa.

Non è un caso che San Vito Lo Capo sia diventata la capitale italiana e mondiale del cous cous, grazie alla felice intuizione di creare un evento capace di catalizzare attorno a un alimento le tradizioni culinarie e culturali dei Paesi del sud del Mediterraneo.

Il Cous Cous Fest

L’idea di dedicare un evento al cous cous nasce a San Vito Lo Capo negli anni ’70, con una piccola sagra locale. Agli inizi degli anni ’80 si cominciò a pensare a una manifestazione di respiro internazionale, che potesse diventare un vero e proprio evento gastronomico e nel 1998 si svolse la prima edizione del Cous Cous Fest.

Cous Cous Fest 2019. foto di gruppo

Cous Cous Fest 2019. I partecipanti

Giunto alla ventiduesima edizione, il Cous Cous Festival è diventato un importante appuntamento, che coinvolge chef di tutti i continenti. Quest’anno la competizione ha visto in gara: Mareme Cisse (Senegal), Yosi Hanoka (Israele), Giuseppe Peraino, Francesco Bonomo e Massimiliano Poli (Italia), Mohamed Lamnaour (Marocco), chef Mina (Palestina), Kevin Sbraga (Stati Uniti), Karim Bahbah (Tunisia), Basim Alfatlawi e Jamol Ismail Ssali (Unhcr, ovvero Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati).

Cous Cous Fest 2019 La vincitrice Senegal

Cous cous Fest 2019: i piatti

Otto interpretazioni di cous cous molto diverse tra di loro. Palestina, Marocco e il Team Unhcr hanno presentato dei piatti ispirati alla tradizione di una cucina casalinga. Più ricche negli ingredienti e più ricercate nelle tecniche di preparazione le interpretazioni di Tunisia e Italia, che hanno però rischiato di eccedere in creazioni fin troppo elaborate.

La giuria di 11 giornalisti enogastronomici, presieduta da Enzo e Paolo Vizzari, ha premiato Mareme Cisse, chef senegalese del ristorante di Agrigento Ginger People&Food, che ha presentato una ricetta di cous cous di mare a base di polpo marinato, verdure croccanti, mango e spezie di Salamba. Un piatto che ha conquistato per l’equilibrio tra gli ingredienti e l’armoniosa fusione tra i sapori siciliani e quelli della sua terra d’origine. La chef senegalese Mareme Cisse si è aggiudicata anche il Premio per la Migliore Presentazione. Il piatto dello chef statunitense Kevin Sbraga ha vinto il Premio Gusto e Benessere, mentre il Team Italiano ha conquistato il Premio del Pubblico.

Ginger People&Food – Agrigento – via Empedocle, 21 – 0922 596151

a cura di Alessio Turazza

https://www.gamberorosso.it/notizie/cous-cous-fest-2019-vince-la-chef-mareme-cisse-di-ginger-peoplefood-di-agrigento/?utm_source=facebook&utm_medium=fb-post&utm_campaign=notizie_sito_2019&utm_content=cous-cous-fest-2019&fbclid=IwAR2pGZH86tuVZqhJ5numrNPdXBdTCFD3s5kzk3g-WcqeE23Se3s3GRj0oxI